Sciacchetrá 2009 Capellini

Delle 1100 mezzine di Sciacchetrá 2009 di Luciano Capellini una é finita tra i miei assaggi ed é un piacere raccontare un’emozione del genere. La scheda produttiva recita solenne: 85% uva bosco 10% vermentino 5% albarola, due mesi di appassimento all’ombra, pressatura e una lenta fermentazione poi matura 18 mesi in acciaio e un anno in bottiglia.
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Capellini – Cinque Terre Sciacchetrà 2009
Ambra cristallina con riflessi che virano al rosso mogano, rotea nel bicchiere aggrappandosi alle pareti e scende lento a goccioline minute e fitte. Il naso é di straordinaria incisività e complessità con l’albicocca matura ancora fresca, note tostate di frutta secca, di nocciole, noci, pinoli, anacardi. E ancora fiori dolci, fiori di acacia, mieli balsamici di arancio e corbezzolo, canditi. Non pago di un bouquet così ricco offre un palato regale, in equilibrio tra la dolcezza calibrata con la salinità, un miele fresco, avvolgente, godurioso, lunghissimo. Ti rapisce e lascia senza parole.

Il Magno Megonio di Librandi

Ancora vini du sudde, questa volta in Calabria, con un vino tra le punte di diamante della produzione regionale. Si tratta di un rosso da uve magliocco in purezza (vera rarità) provenienti da un antico vigneto di origine romana appartenuto al centurione Magno Megonio, da cui prende nome il vino. Una vocazione antichissima alla viticoltura, storica, che può essere l’incipit di una rinascita della regione, se affiancata a una stretta dei disciplinari di produzione in senso qualitativo.
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Librandi – Val di Neto Magno Megonio 2009
Il Magno Megonio 2009 versato nel bicchiere è rubino limpido, poco fitto, offre al naso sentori di macchia mediterranea, salinità, olive in salamoia e mirto. In bocca è secco, caldo, decisamente sapido, dal tannino fine e sfuggente, con chiusura tra ricordi salmastri e di liquirizia in bastoncino, persistente. Un vino (e un vitigno) dal profilo organolettico interessante, un manico più leggero in cantina soprattutto in affinamento, non potebbe che giovare ulteriormente.

Benito Ferrara – Greco di Tufo Vigna Cicogna 2012

Se non vi dicono nulla le parole “Vigna Cicogna” vi siete persi qualcosa di importante nel panorama enologico italiano. Il Greco di Tufo Vigna Cicogna di Benito Ferrara è un grande vino campano, nell’olimpo dei bianchi della regione.

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Benito Ferrara – Greco di Tufo Vigna Cicogna 2012
Nell’annata 2012 è, se possibile, ancor più buono del solito: paglierino scarico, brillante, di viva consistenza. Odora di agrumi, ha lievi sentori fumè e la caratteristica nota sulfurea, intensa, di fiammiferi zolfanelli. In bocca è fresco, di buon corpo, ricorda frutti a polpa bianca ed ha una mineralità ben in evidenza con una bevibilità incredibile ed ha certamente diversi anni di vita ancora davanti a sè. Lo trovate qui a poco più di 15 euro, inutile dire che ha fatto incetta di tre bicchieri e quant’altro, è davvero un gran bel vino, da non perdere.

Ah l’autunno! (la Barbera di Mascarello, i porcini, il vero slow food)

Ah l’autunno!
Voglia di cibi gustosi, dai sapori antichi e avvolgenti, come una coperta calda. Voglia di vini saporiti, figli della terra, diretti. Voglia di porcini e di Barbera, in una grande versione se possibile, come la 2009 di Maria Teresa Mascarello.

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Bartolo Mascarello – Barbera d’Alba Vigna San Lorenzo 2008
Un vino con tutte le sue cose al posto giusto: la freschezza varietale, i frutti rossi, la ciliegia in particolare. Viene da una mano sapiente in vigna e in cantina, l’affinamento in botte grande che ha leggermente smussato le spigolosità, avviandola in un percorso evolutivo in bottiglia, non potrà che migliorarla. L’ho trovata buonissima, in un rinnovato amore per la Barbera in zona Barolo che per me trova la sua massima espressione in botte grande. Basta non aver fretta.

San Fereolo Coste di Riavolo 2008, il bianco di Nicoletta Bocca

Raccontare il Coste di Riavolo di Nicoletta Bocca è un’impresa ardua. Un bianco langhetto atipico in tutto, sia per i vitigni che lo compongono sia per il metodo di vinificazione. Gewürztraminer e riesling da cloni d’origine alsaziana, quindi uve aromatiche e semiaromatiche. Fermentazione con macerazione delle bucce, separata per le due tipogie e a cui segue l’assemblaggio. Non il massimo della vita, almeno sulla carta. E invece l’assaggio è sorprendente.

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San Fereolo – Langhe Bianco Coste di Riavolo 2008
È un vino che parte ridotto al naso nel millesimo 2008, acquistando temperatura e ossigenandosi si pulisce ed emana sentori agrumati di litchis e soprattutto arancia. In bocca è spiazzante, corposo, dal sapore di albicocca e agrumi con viva freschezza, salinità e lunga persistenza.
Un vino mentale, non immediato. Lo assaggi la prima volta e pensi – ma che diavolo sto bevendo?! – E poi – aspetta, aspetta fammelo risentire! – infine non ne scordi il timbro, l’incisività, il non essere uguale a nessun altro, difficilmente classificabile, non omologato.
Io l’ho bevuto con del salmone affumicato e caprino, buonissimo.
Sono certo che chi lo ha incrociato e ne è rimasto in qualche modo affascinato, se l’è messo in cantina e non esita a ordinarlo quando (raramente) lo trova in carta al ristorante.
Va semplicemente approcciato a mente aperta e ben disposta per capirlo, perchè alcuni difetti sono sulla sottile linea che li separa dai pregi. E lo rendono unico.

Giovanni Almondo – Roero 2010

Domenico Almondo non sbaglia un colpo! Da grande bianchista qual è, con quell’Arneis favoloso che risponde al nome di Bricco delle Ciliegie, ha costantemente alzato l’asticella qualitativa dell’intera gamma che comprende bianchi (due versioni di Arneis e 2500 bottiglie di un Riesling spettacolare) e grandi rossi: Barbera, Nebbiolo e tre differenti Roero.
Voglio raccontarvi del Roero 2010, bevuto a cena la scorsa settimana, perchè è un vino capace di raddrizzare una giornata storta.

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Giovanni Almondo – Roero 2010
Non riesco a chiamarlo Roero base, meglio sarebbe Roero classico perchè sa di buona uva, perchè grida Nebbiolo ad ogni snasata e sorso. Ha colore rubino limpido e unghia scarica, senza virare mai al granato. Odora di frutti rossi, rosa macerata ed ha una speziatura intensa e pepata. In bocca è una marcia militare: frutti rossi, acidità, tannino, balsamicità. E voglia di berne un altro sorso. Sono così i Roero di Domenico, carichi di nerbo e speziatura soprattutto da giovani, soprattutto questo che affina 15 mesi in botte grande, golosissimo.
Costa circa 10 euro in enoteca, non c’è altro da aggiungere.

Un sorso di Sicilia: il Perricone 2011 di Manfredi Guccione

La Sicilia enoica è una terra tutta da scoprire: grandi bianchi, grandi rossi, vini minerali, marini, vulcanici, spesso con straordinarie capacità evolutive. E prezzi umani, sempre. Cosa chiedere di più? La prima delle bottiglie sicule che ho stappato recentemente mi ha fatto incontrare un autoctono di gran stoffa: il Perricone. Vitigno originario del ponente dell’isola, del trapanese e del palermitano, viene tradizionalmente unito al più vigoroso Nero d’Avola per donargli morbidezza e finezza. Un vitigno gregario dunque, ma che oggi è sempre più spesso vinificato in purezza, mostrando in mani attente un carattere tutt’altro che schivo e scontato.
Manfredi Guccione, produttore del vino in questione non c’è più, vittima di un incidente stradale nello scorso inverno. Viticoltore biodinamico assieme al fratello in quel di Monreale, aveva da poco iniziato a produrre in proprio prima del tragico evento. Il suo Perricone in purezza si chiama Arturo di Lanzeria, qui descritto nell’annata 2011.

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Manfredi Guccione – Perricone Arturo di Lanzeria 2011
Colore rubino con ancora giovani riflessi porpora; al naso offre un ricco bouquet di frutti scruri maturi, mora, amarena, prugna, e un intrigante sentore di grafite. In bocca scorre veloce, ordinato ma non per questo poco saporito, ha buona acidità, frutti scuri in confettura e tannino fine, poco ingombrate. Un vino molto piacevole e pericolosamente beverino, pieno di energia per esprimersi al meglio nei prossimi anni. Tesori della Sicilia, ad averne di gregari così.

Un grande Pelaverga (davvero!)

Qualche sera fa ho bevuto un Pelaverga di quelli buoni, comparabile solo a quello di Burlotto e allo Speziale di Fratelli Alessandria in annata giusta: era il Pelaverga 2010 di Cadia, piccola azienda a conduzione familiare con sede a Roddi, due passi da Alba.

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Cadia – Pelaverga 2010
Colore rubino scarico ma senza cedimento alcuno, squillante. Gran naso, ricco di rustica florealità, petunia, geranio, e poi la vena pepata profonda, il chiodo di garofano, uniti ai frutti rossi maturi e succosi (fragola, lampone) a ricordare quasi il vin brulè. Stupendo.
In bocca un campione di saporosità, di freschezza e speziatura, un vino completo, sapientemente eseguito, del quale mi sono perdutamente innamorato. Inutile dire che è evaporato in un niente.

La Nascetta di Rivetto. Rimedi contro l’afa dell’estate più calda da quando hanno inventato i termometri (che Studio Aperto non vi dirà mai)

Fa davvero caldo, anche chi come me preferisce l’estate all’inverno certi picchi li sente; si fatica a dormire la notte e non è bello.
Se una di queste sere volete bere un bianco piemontese fresco, provate la Nascetta. Io ho bevuto poco tempo fa la 2011 di Rivetto ed era in forma smagliante, in un anno in bottiglia aveva appena imboccato la via della mineralità e delle sensazioni idrocarburiche, in crescita. Peccato fosse l’ultima.

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A inizio luglio è stata imbottigliata la 2012 e me ne è stata regalata una bottiglia che, mea culpa, ho precocemente stappato. Qui, con l’ovvia approssimazione per un vino così giovane, ho trovato un corpo importante, superiore al millesimo precedente, e decisi profumi fruttati, agrumati, tropicali. In bocca è larga, ricca, sembra un giovane Sauvignon. Mica male, comunque, col tempo si farà.
Urge un ulteriore assaggio ma anche in questo caso la bottiglia era l’ultima, sigh e soprattutto devo concretizzare l’idea di organizzare una verticale di Nascetta, per capire quanto, quando e come evolve in bottiglia.
Oggi è un giorno luminoso, caldo, giallo. Un bel giorno nonostante il sonno tremendo.